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venerdì 1 giugno 2018

108 metri


108 metri. Leggerlo è come camminare sui binari morti di una classe operaia precaria ormai depauperata della coscienza necessaria, senza destinazione scritta sul biglietto,  di passaggio,  senza paradiso. Già “Amianto” mi aveva inchiodato nella toscana operaia tra Livorno e Piombino, avevo pianto per Renato, leggendo sentivo il rumore sordo delle pacche sulla spalla del padre operaio al figlio studente e la storia mi attraversava costringendo me lettrice, ad abbassare lo sguardo e sotto non vi trovavo più le scarpe comprate oggi, ma quelle compratemi da mio padre, con il sacrificio, lo sforzo semplice sopra l’incoscienza imbarazzata di me studentessa. E Piombino mi pareva il sud in cui sono nata e sentivo l’odore dell’eternit proveniente da sotto il mio balcone. Un libro in cui il nesso tra i modi di produzione e  le forme di coscienza si facevano schegge che avvelenano le piastrine. Il curriculum di Renato era fatto di timbri, tessere sindacali, appunti, cortisone e morfina mentre Nada cantava Ma che freddo fa. Il curriculum di Alberto, il figlio, è fatto di liceo, università, redazioni, traduzioni cessi e pizzerie britanniche e di sogni torbidi disinfettati dalla vodka. Alberto con le spalle da operaio e le mani da scrittore, ci conduce dove non vorremmo mai trovarci: nel disagio. Nel disagio di un impianto borghese su una carcassa operaia, nel disagio di chi in testa s’è messo Lo Straniero di Camus e La nausea di Sartre ma ai piedi ha gli scarponi infortunistici che gli ha regalato il padre. Alberto è di parola: “Babbo,  ‘un ti preoccupà, a fa’ il cane da lecco d’un signore, te ‘un mi vedrai mai”! E pure l’Università tradisce le aspettative del giovane e promettente studente, piena com’è di sociologi che parlano di un mondo nuovo fatto di opportunità fluide. Un ‘brodo’ avrebbe detto suo padre: “gente liquida, guai a fidarsi”. E Alberto non si fida, e anche la sua ironia “puzza di stalla e di vino d’un tempo, è greve e rumorosa, mica sta roba fruttata, succosa, agile al palato, che va tanto di moda adesso”.  Centootto metri di parole intrise di neorealismo e istinto di classe, fucking hell di primo mattino e pizze che non devono tornare indietro.

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