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mercoledì 30 agosto 2017

Spleen Spread

Voglio bere il caffè
con i baffi di un gatto.
Incrociare le gambe
come un Buddha.
Voglio lavorare gratis e accontentarmi di un bonus.
Cantare una canzone con le parole di Wallace.
                  Curare la mia dislessia con l’inchiostro.
                  Sparare a un punto nero.
                  Cadere dentro un pozzo e interrompere la riunione dei serpenti.
Essere l’altra metà della mela.
Avere nostalgia dello spread.
Voglio il rogo delle spazzole.
Il sugo pronto.

Esserci quando rido.

lunedì 28 agosto 2017

Papaveri rossi - laura isaia

La strada è quella di un sentiero di montagna. 
In salita. 
Assolata. 
Lui è un uomo dall’età imprecisata, potrebbe essere padre, marito, un compagno di strada, un abitante di questo mondo; trascina un sacco con dentro tante cose, dice. Racconta che ciò che porta ha un peso insostenibile. Racconta di trascinare pure lei in questo sacco. Lei, potrebbe essere moglie, figlia, compagna di strada, un’abitante di questo mondo; non vive dentro un sacco trascinato, vive accanto, spesso è però vero che la sua ombra finisce dentro il sacco, soprattutto quando il sole è alto. E in salita il sole è sempre alto. Lui fatica a trascinare Lei, Lei fatica a stargli accanto ma è l’unica strada che conosce. Lui lamenta dolori. Lei vorrebbe farsi leggera per non gravare sul sacco. Lei vorrebbe che la sua ombra non pesasse sul sacco. Lui urla di rabbia la sera, di rabbia e di stanchezza. Lei decide di non fermarsi più a mangiare le bacche. Decide di non pesare per alleggerire il sacco. Vorrebbe essere sottile, vorrebbe imparare a sparire. E ci riesce. Smette di nutrirsi e cade in un burrone. La morte non la sente, perché chi può controllare il cibo, crede di poter controllare il mondo. 
Lui prosegue la sua strada. E continua a narrare di questo sacco pesante e di quanto sia difficile trascinare lei.
Lei è dentro un burrone da giorni, non ha più peso e presto volerà via come un petalo di un papavero rosso. 
Fine storia triste di una testa anoressica.

fonte immagine: Ofra Amit

mercoledì 23 agosto 2017

Ma dove vai se non ce l'hai - laura isaia

io senza di loro sarei morta mille volte. 
Non c’è mai stata una sola fase della mia vita senza avere un amico o un’amica accanto. Qualcuna si è persa lungo la  strada, ma tante ne sono arrivate. 
Uso il femminile perché siete in maggioranza, e perché lui, l’amico del cuore, non me ne vorrà e non mi leggerà perché ha da finire il suo pezzo su Lenin. 
E gli altri lui, amano l’esclusiva, pena il trattamento di fine rapporto.  
Senza di voi non avrei mai provato il tai chi, non avrei avuto un analista, non avrei trascorso due notti con il vicino di tenda austroungarico solo per farvi dormire più comode, non sarei uscita con un esercito di militari, non avrei mai letto un oroscopo, non avrei ballato fino alle tre di notte prima di una partenza, non avrei occupato, non avrei assaggiato le nuvolette di drago, non mi sarei trovata in tarda notte dentro la smart di un Car2Go sulla strada ferrata in contromano, non avrei una chitarra, non avrei le bolle di sapone sul comodino, non avrei mai scritto Gimbino su un bavaglino, mi sarei ammazzata di respiri corti, di camomille corrette, di vuoti a perdere. Senza di voi sarei tutt’uno con la mia linea gialla. 


mercoledì 9 agosto 2017

Passante con scarpe rosse - laura isaia

A 13 anni marinai la scuola. Ai miei tempi in Sicilia si diceva “m’acaliai”. Ogni tanto dicevo “fare sega” ma solo dopo i 14. 
Ehi Umb, come si dice a Firenze marinare la scuola? Fare festa. Fare forca. I francesi dicono “faire l’école buissonnière” i berlinesi “blaumachen”. Insomma, io quel giorno non andai a scuola per starmene al centro di una piazza ad osservare e prendere appunti. Detta così sembra quasi una cosa intelligente. E io devo averla fatta proprio in nome della mia bieca intelligenza. Istinto antropologico, desiderio sociologico, mi piacerebbe poter dire, ma niente di tutto ciò. Fumo. Solo fumo. Scrissi cose talmente banali che a 20 me ne vergognai profondamente. Stavo già all’Università, con le fotocopie del carteggio Goethe-Schiller nella mano sinistra, i saggi di Le Goff dentro la borsa, e gli appunti di Teoria della Letteratura da sbobinare, quando ritrovai i quadernini dell’antropologa della piazza.
Panchina 1: passante con scarpe rosse, alle mie spalle cemento armato, nell’aria pensieri funesti.
Panchina 2: da qui nessun passante, alle mie spalle sempre cemento armato, nell’aria pensieri ancora più tristi.
Panchina 5: un gruppo di ragazzini stupidi devono aver marinato la scuola e schiamazzano sulla panchina di fronte la mia, le scarpe devono averle comprante in gruppo, sono tutte uguali, alle mie spalle una palma, nell’aria pensieri esotici. (Tutto ciò che non parte da me è esotico. Postilla postuma ovviamente.).
Feci sparire quei quaderni, non volevo rovinare quanto di buono stessi facendo all’Università. Non sia mai che all’esame di storia medievale venisse fuori la sociologa esotica che è in me! Li buttai. Oggi a 40 anni, pur riconoscendo che senza le lezioni di Teoria della Letteratura non ci sarebbe nulla di buono, consistente e strutturale in me, vorrei continuare quei quadernini da sociologa della piazza, perché in fondo non mi sono evoluta troppo e quando cammino per strada in testa, mi ripeto: passante con scarpe rosse, alle mie spalle cemento armato, nell’aria pensieri funesti - passante con scarpe rosse, alle mie spalle cemento armato, nell’aria pensieri funesti – allontanarsi dalla linea gialla, allontanarsi dalla linea gialla, allontanarsi dalla linea gialla.


mercoledì 2 agosto 2017

La figlia di Eolo - laura isaia


Vuoi vedere che sono nata da una pala eolica e da una nuvola e nessuno mi ha detto niente? 

Su un promontorio alto alto, una pala grande grande, gira in senso orario, finché un giorno tra le pale non vi si impiglia una nuvola chiara e svogliata che farebbe perdere la testa anche all’Eolo più ortodosso.

Devo essere nata così. 

Non mi spiegherei diversamente questo mio vivere con la testa per aria e questo mio incedere prima su, su, su, su, poi lentamente in senso orario, giù, giù, giù, e poi sempre lentamente e sempre in senso orario, di nuovo su, su, su. 

Eternamente.



link immagine: laboratoriocreativo.org