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giovedì 30 maggio 2019
Estate, Autunno, Primavera, Inverno.
A fine estate cambio pelle. Tra settembre e ottobre perdo i capelli. A dicembre vado in letargo. Tra marzo e aprile gli ormoni mi spingono in palestra dritta dritta in sala pesi, perché fit box, zumba, non fanno per me. E gira che ti giri è di nuovo estate e tu rinasci. E si ricomincia. Questo è un ciclo vitale che va bene sia per gli animali sociali che per gli animali asociali. I primi li incontri al cambio pelle, i secondi te li porti in letargo sotto il piumone. E tutto gira così finché non incontri l’animale uguale a te, quello nato sotto la tua stessa stella e dolce sarà sbranarsi in tutte le stagioni.
martedì 28 maggio 2019
Conchiglie per Rebibbia
Il mare di Maggio ne è pieno. Quello di Settembre
ancor più. Tutti da bambini ne abbiamo cercata almeno una.
C’era chi le
collezionava, chi le raccoglieva e le catalogava per colore o forma: nel
secchio bianco quelle a striate di giallo e marrone e nel secchio giallo con le
angurie stampate, le conchiglie meno rugose. Chi ne stringeva una tra le mani
per tutto il viaggio di ritorno dal mare. Chi ne prendeva tante e la prima la
regalava alla mamma e le altre le riposizionava in spiaggia una vicina
all’altra, sperando forse che facessero gruppo, che diventassero amiche, che si
organizzassero in qualche forma di comunità clandestina. La comunità delle
conchiglie. Gusci belli come gioielli, disposti in ordine sparso, con dentro la
voce del mare rimasta negli interstizi dell’involucro cristallino.
Due anni fa avrei dovuto partecipare ad una festa,
con e per, i bambini del nido Rebibbia. Sì, i bambini del nido di Rebibbia, i
nostri piccoli figli, i figli di una società malata. La festa non si fece,
figuriamoci se con tutti i diritti persi, le felicità incappiate e il futuro
incapsulato dentro lo scrigno di un destino avverso, sarebbe stata possibile
una festa. Nonostante ciò ci impegnammo in una raccolta di abiti e giocattoli e
soprattutto, cosa ancor più preziosa, raccogliemmo le lettere che ragazzini di
11- 12 anni avevano scritto per loro. Ricordo che in quei giorni mi sforzai
invano di trovare per loro un dono che andasse oltre il senso dell’utile o il
limite del gioco, ma nessuna idea buona mi venne in mente. Cercavo un’idea che
li liberasse, o che liberasse me da quel senso di impotenza e di fragilità. Oggi,
nel tentativo di mettere ordine in un angolo del mio armadio, ho ritrovato
nella borsa di tela, dove tengo tutti i miei bikini spaiati, una decine di
conchiglie. Quegli involucri fragili che i piccoli molluschi sono costretti a
crearsi da soli, acchiappando il calcio contenuto tra l’acqua e la terra dove
vivono e, strato dopo strato, ne fanno cristallo protettivo, hanno sempre
conquistato la mia attenzione. E ogni volta che un bambino corre verso la
mamma, incredulo e felice del ritrovamento di una conchiglia, le sta solo dicendo: “mamma proteggimi”. Mamma
fammi da guscio ancora un po’. E poi c’è la corsa dei bambini che il guscio
devono farselo da soli. Strato dopo strato. Duro e fragile col mare mosso dentro.
Come i bambini di Rebibbia. Oggi ho fatto il gesto magico, il gesto che non
cambierà per nulla il mondo, non cambierà la vita di nessun bambino e di
nessuna conchiglia ma che ha liberato me per un paio d’ore dalla paura della
fragilità: ho messo le conchiglie dentro una stoffa rossa, sono andata giù, giù
fino agli inferi della metro B e messo il sacchettino rosso dentro il primo
vagone per Rebibbia. Treno per Rebibbia in arrivo, allontanarsi dalla linea
gialla.
sabato 25 maggio 2019
Antonio Gramsci
Caddero i fiori dal mio
vestito.
Petali rossi sparsi come
gocce di sangue.
Eppure stavo solo
camminando per la mia strada.
Brandelli di individualismo
borghese che mi ero mio malgrado cucita
addosso, scivolarono via.
Nessuno ha sparato.
Non soffia neanche il
vento, della bufera poi, nessun segnale.
Ma caddero i fiori.
Dovevo aver varcato una
linea o forse calpestato un sogno.
E mi trovai non più sola contro
tutti, ma nella strada, che è di tutti.
Perché fossi uscita di
casa con i fiori nel vestito non è più importante.
Ancora cento metri e
potetti starmene seduta sulla tomba di Gramsci a prendere appunti.
Senza fiori nel vestito.
Scusaci.
Qualcosa è andato storto.
Non leggere i quotidiani.
Continua i tuoi quaderni.
domenica 21 aprile 2019
Vorrei
Vorrei essere invitata ad una festa di fenicotteri
per non essere l’unica vestita di rosa.
Vorrei essere la traccia numero tre della playlist
di D’Alema perché è da 20 anni che devo dirgli una cosa.
Vorrei una ventola sul tetto, squarciare la federa
del mio cuscino e far tornare le piume libere di volare.
domenica 14 aprile 2019
Ancora
Ancora non l’hai capito? Ancora speri. Ancora aspetti. Àncora. Ancora. Ancora senza un perché. Ancora non gliel’ho detto. Ancora non sono pronta. Ancora qui. Ancora
senza luce. Ancora nostalgia. Ancora vita nuova. Ancora film muti. Ancora
passeggiate. Ancora spazio. Ancora qualche passo indietro. Ancora, ne voglio
ancora. Ancora non l’hai letto? Ancora sonno. Ancora letti sfatti. Ancora mare
sopra i piedi. Ancora sabbia nei pensieri. Ancora idee confuse. Ancora lotta.
Ancora non si arrende. Ancora, scrivimi ancora. Ancora non è calato. Ancora la
luna non si vede. Ancora un’eccezione. Ancora senza. Ancora troppo poco.
Ancora fanno finta di
niente. Ancora non accorrono. Adesso sparo.
Ancora voglia. Ancora fame. Ancora pianoforte. Ancora statue
lungo il percorso. Ancora una fontana. Ancora un mare forte. Ancora uno
straniero. Ancora conchiglie. Ancora fiume che sfocia in mare. Ancora voci da
ricordare. Ancora sorprese. Ancora sospesi. Ancora appesi. Ancora stesi. Ancora
senza futuro semplice.
Ancora sfoglio, ancora piango, adesso giro.
Ancora una camicia da stirare. Ancora i piedi dentro al
mare. Ancora una lingua da imparare. Ancora non ho fatto il pane. Ancora gocce.
Ancora rocce. Ancora nervi tesi. Ancora slam. Ancora non torno a casa. Ancora palla al centro. Ancora la solita barca
da scrivere, ancora il solito treno da perdere.
Ancora non ti capisco.
Ancora non ti rapisco.
Fallo tu se puoi.
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