Ciò che si prova è indescrivibile. Tocca a me
accoglierli, devo trasmettergli serenità, autorevolezza, credibilità,
curiosità. Ovvio che non ne sono capace, ma ci provo e odio chi sentenzia sulla
mia imprevedibilità, sulla mia vulnerabilità, sulla mia libertà di espressione
e di conduzione. Le varie legislature ci hanno convinto (a noi docenti e a tutti
quelli che per ragioni diverse ruotano intorno alla scuola in qualità di
genitori, nonni, affidatari, assistenti sociali, rappresentanti vari), che la
scuola si regga sul POF, poi sul PTOF, che ci voglia un comitato di
accoglienza, che bisogna verbalizzare tutto, che bisogna valutare tutti, che
bisogna poter misurare i cambiamenti, i percorsi, i progressi. Se non
verbalizzi ciò che hai fatto, non vale, se non valuti, non conti, se non
monitori ogni tua azione, non stai facendo scuola. Se bocci, sei un fallito.
Guai a usare la bocciatura come spia, come segnale di qualcosa che si sta
inceppando, per la nuova Ministra l’importante è promuoverli tutti, non importa
se poi, non appena girato l’angolo, si schiantino su un muro perché nessuno gli
ha detto che la spia dell’acqua era accesa e il motore andava raffreddato un
po’. Se i tuoi alunni non sono brillanti e vincenti, vali meno di un reality di
terza serata. Se sei un precario devi portare pazienza, se sei di ruolo, erri, come un cavaliere errante. Brutto è il sistema che oggi costringe molti di noi, a lavorare in luoghi che non abbiamo scelto. Odio chi mi vorrebbe pronta e adeguata a
calibrare ogni mossa. Odio chi mi ha costretto a somministrare proposte di
accoglienza tutte uguali, per accogliere i “tutti diversi” al fine di poter
dire “così li abbiamo integrati. Odio le virgolette. Detesto tutto ciò
fortemente perché per me oggi l’imbarazzo più grande sarà entrare in una classe
e confrontarmi con l’immensità dello sguardo di ogni nuovo alunno, che mi
guarderà come fossi un’aliena e si aspetterà che io lo salvi, o che io lo ignori,
o che io lo segua, o che io lo ascolti, o che io lo nutra o che io lo punisca.
E io non saprò che fare davanti a quell’immensità, perché non sono Leopardi e
il dialogo con la Natura l’abbiamo perso da un pezzo. Beati voi che sapete chiaramente
che nel POF è previsto che le classi prime bla bla bla…, le classi terze
invece, bla bla bla… Io il primo giorno so solo che mi emozionerò con ogni
molecola di me e lo scossone sarà talmente forte che anche i miei avi
avvertiranno qualcosa. So che non sarò perfetta, so che sobbalzerò stringendo
la mano dei più grandi, di quelli che hai lasciato a giugno e che in tre mesi
si sono trasformati in altro, e mi imbarazzerò davanti lo sguardo dei nuovi chi
si aspetteranno grandi cose e con cui già sono in debito di una risposta. Che
sia un buon inizio per tutti. Che le domande possano fare a gara per emergere,
per le risposte ci sarà sempre tempo. So che non sono la sola a provare tutto
ciò. Però vi prego, non costringetemi a valutare tutto, a misurare, monitorare
in maniera spasmodica: è contro natura. Vi è mai capitato di piantare un
semino, una radice? Che fate? La nutrite, l’annaffiate, la posizionate verso la
luce, aspettate che cresca coi tempi che gli sono propri. Non la spiantate ogni
giorno per vedere se le radici stanno crescendo bene. Ecco, a scuola è così. È
un giardino, un orto, un’aiuola, un bosco, una selva selvaggia. Che importa.
L’importante è crescere insieme.
Mi stani pure, signora Ministra, male che vada, andrò
a piantare rose nel giardino che non c’è.
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