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martedì 12 settembre 2017

Buon inizio a tutti


Via! Si ricomincia. Il primo giorno è pur sempre il primo giorno. Anche quando fai lo stesso lavoro da 10 anni. Nulla è pronto. Ormai è la regola nella scuola italiana: quando suona la campana, nulla è pronto.
Ciò che si prova è indescrivibile. Tocca a me accoglierli, devo trasmettergli serenità, autorevolezza, credibilità, curiosità. Ovvio che non ne sono capace, ma ci provo e odio chi sentenzia sulla mia imprevedibilità, sulla mia vulnerabilità, sulla mia libertà di espressione e di conduzione. Le varie legislature ci hanno convinto (a noi docenti e a tutti quelli che per ragioni diverse ruotano intorno alla scuola in qualità di genitori, nonni, affidatari, assistenti sociali, rappresentanti vari), che la scuola si regga sul POF, poi sul PTOF, che ci voglia un comitato di accoglienza, che bisogna verbalizzare tutto, che bisogna valutare tutti, che bisogna poter misurare i cambiamenti, i percorsi, i progressi. Se non verbalizzi ciò che hai fatto, non vale, se non valuti, non conti, se non monitori ogni tua azione, non stai facendo scuola. Se bocci, sei un fallito. Guai a usare la bocciatura come spia, come segnale di qualcosa che si sta inceppando, per la nuova Ministra l’importante è promuoverli tutti, non importa se poi, non appena girato l’angolo, si schiantino su un muro perché nessuno gli ha detto che la spia dell’acqua era accesa e il motore andava raffreddato un po’. Se i tuoi alunni non sono brillanti e vincenti, vali meno di un reality di terza serata. Se sei un precario devi portare pazienza, se sei di ruolo, erri, come un cavaliere errante. Brutto è il sistema che oggi costringe molti di noi, a lavorare in luoghi che non abbiamo scelto. Odio chi mi vorrebbe pronta e adeguata a calibrare ogni mossa. Odio chi mi ha costretto a somministrare proposte di accoglienza tutte uguali, per accogliere i “tutti diversi” al fine di poter dire “così li abbiamo integrati. Odio le virgolette. Detesto tutto ciò fortemente perché per me oggi l’imbarazzo più grande sarà entrare in una classe e confrontarmi con l’immensità dello sguardo di ogni nuovo alunno, che mi guarderà come fossi un’aliena e si aspetterà che io lo salvi, o che io lo ignori, o che io lo segua, o che io lo ascolti, o che io lo nutra o che io lo punisca. E io non saprò che fare davanti a quell’immensità, perché non sono Leopardi e il dialogo con la Natura l’abbiamo perso da un pezzo. Beati voi che sapete chiaramente che nel POF è previsto che le classi prime bla bla bla…, le classi terze invece, bla bla bla… Io il primo giorno so solo che mi emozionerò con ogni molecola di me e lo scossone sarà talmente forte che anche i miei avi avvertiranno qualcosa. So che non sarò perfetta, so che sobbalzerò stringendo la mano dei più grandi, di quelli che hai lasciato a giugno e che in tre mesi si sono trasformati in altro, e mi imbarazzerò davanti lo sguardo dei nuovi chi si aspetteranno grandi cose e con cui già sono in debito di una risposta. Che sia un buon inizio per tutti. Che le domande possano fare a gara per emergere, per le risposte ci sarà sempre tempo. So che non sono la sola a provare tutto ciò. Però vi prego, non costringetemi a valutare tutto, a misurare, monitorare in maniera spasmodica: è contro natura. Vi è mai capitato di piantare un semino, una radice? Che fate? La nutrite, l’annaffiate, la posizionate verso la luce, aspettate che cresca coi tempi che gli sono propri. Non la spiantate ogni giorno per vedere se le radici stanno crescendo bene. Ecco, a scuola è così. È un giardino, un orto, un’aiuola, un bosco, una selva selvaggia. Che importa. L’importante è crescere insieme.
Mi stani pure, signora Ministra, male che vada, andrò a piantare rose nel giardino che non c’è.

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