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mercoledì 7 giugno 2017

Perché la verità, io non l’ho detta mai - laura isaia

All’età di 10 anni, non capivo perché mi infastidisse il dover fornire ad alcuni  miei insegnanti informazioni sulla mia vita personale. Detestavo le domande su mio padre, su mia madre e la domanda più odiata era quella sul numero di fratelli e sorelle.

 Non era imbarazzo era fastidio. I commenti puntuali e coincisi, stringati e appuntiti su alcuni lavori mi facevano sentire seppur inconsapevolmente,  tutto il peso della società classista in cui ero e sono immersa. Ma che ne sapevo io di Marx? Nulla. Ma caricati anche tu un grosso e pesante sacco sulle spalle e dimmi se non senti il peso pur non sapendo cosa contiene il sacco. Lo senti, vero? Ecco perché le ragioni di Marx le capiscono anche i gatti. 
Alcuni miei insegnanti invece pare che ai gatti fossero allergici e di Marx non sapessero nulla.  E con il registro aperto sull’elenco dei nomi, si divertivano a classificare: avvocato, dottore, commercialista, idraulico, avvocato, operaio, operaioo, oopeeraaaiiiooo operaiooperaiooperaiooperaio, allontanarsidallalineagialla allontanarsidallalineagialla.

“Quanti fratelli hai?” Domanda innocua ma che a me arrivava come una minaccia alla doverosa imparzialità dell’insegnante. Che ne avrebbero fatto della mia verità? Quanto avrebbe influito sulle mie interrogazioni? E sul compito in classe? E soprattutto, dichiarando di essere una caparbia primogenita con un fratellino e una sorellina, cosa ne sarebbe stato del mio primo viaggio immaginario? Sarei poi riuscita a prendere un treno da sola? 
Che odio quelle facce stupite innanzi a chi diceva “sono figlio unico”. 
“Figlio unico?”. 
“Figlio unico” .   
“Hai ben quatto quattro sorelle?”.   
Fu così che, nonostante l’amore per mio fratello e per mia sorella,  la professoressa di musica seppe che io ero figlia unica, quella di disegno che avevo 11 fratelli senza appartenere ad una famiglia neocatacumenale, quello di educazione tecnica che ero la terza di tre gemelline di cui una addirittura, bionda. 
Vi lascio immaginare la delusione di mamma quando ai colloqui con i  professori apprese di avere una figlia bugiarda. 
E sì, fu con le mancate verità che mi guadagnai il mio primo treno in partenza.


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3 commenti:

  1. Con L'arte della menzogna sei riuscita a deprezzare la sola cosa di cui mi vantavo di possedere.
    E credevo anche di avere un fratello...adesso non lo so più

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  2. Ambrose Bierce adduce che la falsità è una - Verità alla quale i fatti sono liberatamente adattati in modo da ottenere una conformità imperfetta.

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