Non mi piacciono. Non li indosserò mai. Non li
comprerò mai.
Che senso ha comprarli già
strappati?
Eppure prima dei miei 40 anni, mi ritrovai in uno
di quei negozi dove i jeans sono disposti in perfetto disordine di numero e
taglia e nel tentativo di rintracciare almeno tre modelli (di più era vietato) di
taglia s o xs da portare nei salottini prova (e vuoi che io che vivo da anni in
un monolocale e l’ultimo salotto che ho visto è quello della casa dei miei
genitori, non mi sia lasciata tentare dalla scritta: SALOTTINI PROVA?) mi accadde qualcosa di strano.
Superata la rabbia per essere caduta in quella
trappola dell’iperbole ingannevole, poiché in quei camerini non vi era nessun
salottino, ma solo una mezza panchina più scarna e scomoda di quella che c’è
nell’ultimo spogliatoio della palestra popolare, mi accorsi con mio grande
disappunto che tra i tre modelli di jeans da provare ne presi
involontariamente uno di quelli
strappato alle ginocchia. Delusione su delusione. Ma incoraggiata dall’immagine
di me che mi rimanda lo specchio, li provo ugualmente e mi piacciono. Comodi,
pure. Quegli strappi mi permettono di fare piegamenti che con gli altri è
difficile fare. E adesso? Cosa dirò a quella parte di me che ha sempre
sostenuto il contrario? Sposto la tenda, resto seduta in panchina e tra la mia
espressione e quella di Totti dell’ultimo anno c’è solo una lieve differenza
che nemmeno i fedelissimi noterebbero.
Non è la prima volta che mi accade. Questo dover
fare i conti con me, senza di me. Dover mettere d’accordo il me di prima, con
il me di adesso. Pietrificata tra lo specchio e la tenda ripenso ai diversi
episodi che nella vita mi hanno messo in panchina e tre di questi mi si
presentano sfacciati come i clienti alle prostitute sul ciglio della strada.
1) UNAMUNO: leggere UNAMUNO e sentire di tradire
KANT. I due non si sono mai scontrati ma dentro me, insieme, provocavano
lacerazione. Come i jeans strappati. Come potevo accettare che io kantiana per
scelta mi stessi innamorando dell’idealismo umano di un Don Chischiotte senza
panza? Fu tremendo elaborare il cambiamento.
2) La CHIESA. La chiesa come luogo di salvezza: eresia
per una che nella vita ha creduto solo al pane e le rose, al tennis, e al
finale di Zabriskie Point. Eppure negli ultimi anni, a salvarmi è stata una chiesa.
A salvarmi dal caldo afoso della capitale, nel mio monologo impietoso con i san
pietrini, è stata l’ombra di Santa Maria
maggiore. Una vera salvezza.
3) OCEANO MARE. Dopo averlo deriso, canzonato, dopo
aver creduto che l’unica preghiera possibile per i nati in Sicilia fosse quella di Verga nel Ciclo dei vinti, nel bel mezzo di un tramonto al porto di
Catania, ho pregato come padre Pluche di OCEANO MARE.
E adesso superati i 40 me ne vado in giro con i
miei jeans strappati e i miei dissidi interiori, oltrepassando la linea gialla.
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