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sabato 30 marzo 2019

Salottini prova

Non mi piacciono. Non li indosserò mai. Non li comprerò mai.  
Che senso ha comprarli già strappati?
Eppure prima dei miei 40 anni, mi ritrovai in uno di quei negozi dove i jeans sono disposti in perfetto disordine di numero e taglia e nel tentativo di rintracciare almeno tre modelli (di più era vietato) di taglia s o xs da portare nei salottini prova (e vuoi che io che vivo da anni in un monolocale e l’ultimo salotto che ho visto è quello della casa dei miei genitori, non mi sia lasciata tentare dalla scritta: SALOTTINI PROVA?) mi accadde  qualcosa di strano. 
Superata la rabbia per essere caduta in quella trappola dell’iperbole ingannevole, poiché in quei camerini non vi era nessun salottino, ma solo una mezza panchina più scarna e scomoda di quella che c’è nell’ultimo spogliatoio della palestra popolare, mi accorsi con mio grande disappunto che tra i tre modelli di jeans da provare ne presi involontariamente  uno di quelli strappato alle ginocchia. Delusione su delusione. Ma incoraggiata dall’immagine di me che mi rimanda lo specchio, li provo ugualmente e mi piacciono. Comodi, pure. Quegli strappi mi permettono di fare piegamenti che con gli altri è difficile fare. E adesso? Cosa dirò a quella parte di me che ha sempre sostenuto il contrario? Sposto la tenda, resto seduta in panchina e tra la mia espressione e quella di Totti dell’ultimo anno c’è solo una lieve differenza che nemmeno i fedelissimi noterebbero.
Non è la prima volta che mi accade. Questo dover fare i conti con me, senza di me. Dover mettere d’accordo il me di prima, con il me di adesso. Pietrificata tra lo specchio e la tenda ripenso ai diversi episodi che nella vita mi hanno messo in panchina e tre di questi mi si presentano sfacciati come i clienti alle prostitute sul ciglio della strada.
1) UNAMUNO: leggere UNAMUNO e sentire di tradire KANT. I due non si sono mai scontrati ma dentro me, insieme, provocavano lacerazione. Come i jeans strappati. Come potevo accettare che io kantiana per scelta mi stessi innamorando dell’idealismo umano di un Don Chischiotte senza panza? Fu tremendo elaborare il cambiamento.
2) La CHIESA. La chiesa come luogo di salvezza: eresia per una che nella vita ha creduto solo al pane e le rose, al tennis, e al finale di Zabriskie Point. Eppure negli ultimi anni, a salvarmi è stata una chiesa. A salvarmi dal caldo afoso della capitale, nel mio monologo impietoso con i san pietrini,  è stata l’ombra di Santa Maria maggiore. Una vera salvezza.
3) OCEANO MARE. Dopo averlo deriso, canzonato, dopo aver creduto che l’unica preghiera possibile per i nati in Sicilia  fosse quella di Verga nel Ciclo  dei vinti,  nel bel mezzo di un tramonto al porto di Catania, ho pregato come padre Pluche di OCEANO MARE.

E adesso superati i 40 me ne vado in giro con i miei jeans strappati e i miei dissidi interiori,  oltrepassando la linea gialla.

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